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Andamento ghiacci Artici stagione accumulo 2024/2025

SnowKnight85

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Attualmente ci troviamo in un periodo interglaciale chiamato Olocene.

Questo periodo è iniziato circa 11.700 anni fa, dopo l'ultima era glaciale. Importante notare il fatto che durante i periodi interglaciali, le temperature globali sono più alte e i ghiacciai si ritirano, come sta accadendo ora...

Il tutto ovviamente amplificato dall'AGW (amplificato tanto? amplificato poco? si sta raggiungendo un punto che comunque si sarebbe raggiunto ma in più tempo? Le risposte a queste domande non le ho e non mi azzardo ad avanzare teorie).

😊
 

Alessandro 81

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Research finds frozen ground in the Arctic is sinking at an increased rate​

https://phys.org/news/2025-01-frozen-ground-arctic.html
Di recente, ricercatori della George Washington University hanno pubblicato uno studio che evidenzia come i terreni permanentemente congelati (permafrost) nelle regioni artiche stiano sprofondando a un ritmo sempre più rapido. Questa scoperta ha importanti implicazioni sia dal punto di vista climatico sia da quello socio-economico, poiché il permafrost artico svolge un ruolo cruciale nel mantenere la stabilità dell’ecosistema circostante e nel regolare il ciclo del carbonio. Di seguito viene presentato un riepilogo, in chiave scientifica e dettagliata, dei principali punti emersi dallo studio.
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1. Il contesto: Permafrost e cambiamenti climatici​

1.1 Definizione di permafrost​

Il termine “permafrost” indica un suolo che rimane a una temperatura pari o inferiore a 0 °C per almeno due anni consecutivi. In vaste aree dell’Artico, il permafrost si è formato durante le ere glaciali passate e ha mantenuto la sua condizione di congelamento per millenni. Al di sopra del permafrost si trova lo strato attivo, che scongela superficialmente in estate e si ricongela in inverno, consentendo la crescita di licheni, muschi e basse piante tipiche della tundra.

1.2 Effetti del riscaldamento globale​

Negli ultimi decenni, l’Artico si è riscaldato con un tasso fino a tre volte superiore rispetto alla media globale (fenomeno noto come amplificazione artica). Questo riscaldamento anomalo si traduce in un maggiore scioglimento dello strato attivo e in un graduale disgelo anche delle porzioni più profonde del permafrost. L’effetto combinato causa instabilità del suolo, poiché l’acqua derivante dal disgelo diminuisce la coesione della matrice del terreno, portando a cedimenti e all’aumento del tasso di sprofondamento del suolo.


2. Metodologia dello studio​

2.1 Rilevazioni satellitari e misure in situ​

Lo studio condotto dalla George Washington University si è basato sia su dati di telerilevamento satellitare sia su misure geofisiche ottenute da campionamenti diretti in diverse stazioni di ricerca disseminate nell’Artico. In particolare, è stata impiegata la tecnica InSAR (Interferometric Synthetic Aperture Radar), che consente di rilevare spostamenti millimetrici o centimetrici del terreno confrontando le immagini radar di uno stesso punto della superficie terrestre scattate in momenti diversi.

2.2 Confronto temporale e analisi dei trend​

Per valutare i trend di sprofondamento del terreno, i ricercatori hanno confrontato i dati raccolti nell’ultimo decennio con quelli di periodi precedenti (fino a 20-30 anni fa, laddove disponibili). Questo confronto ha permesso di individuare un’accelerazione del tasso di subsidenza, in particolare nelle aree dell’Artico centrale e in alcune zone costiere soggette a erosione marina.


3. Principali risultati dello studio​

3.1 Incremento del tasso di subsidenza​

Dai dati raccolti è emerso che il tasso medio di sprofondamento del suolo risulta aumentato del 50-70% rispetto a misure simili effettuate 20 anni fa. Questo dato, sebbene variabile in base alle caratteristiche locali del permafrost (profondità, composizione, presenza di ghiaccio sotterraneo), conferma una tendenza generale all’accelerazione del processo di cedimento.

3.2 Distribuzione geografica dell’abbassamento del suolo​

Le aree più colpite sembrano essere:

  • Zone costiere: in prossimità delle coste artiche, l’erosione marina e l’infiltrazione di acqua tiepida accelerano lo scongelamento del permafrost.
  • Piane fluviali e lacustri: dove l’innalzamento stagionale del livello dell’acqua favorisce il riscaldamento del suolo e lo scioglimento dei ghiacci sotterranei.
  • Regioni dell’Artico centrale: a causa dell’aumento delle temperature invernali, che riduce la ricostituzione stagionale delle aree più superficiali del permafrost.

3.3 Impatti sulla stabilità ambientale e infrastrutturale​

  • Infrastrutture a rischio: edifici, strade e oleodotti costruiti su terreno perennemente gelato subiscono deformazioni, fessurazioni e cedimenti, con conseguenti costi elevati per le riparazioni e possibili rischi di incidenti ambientali (fuoriuscite di combustibili, etc.).
  • Modifiche agli ecosistemi: la subsidenza influenza il drenaggio superficiale, formando nuove zone umide o laghi termocarstici, e altera gli habitat di specie vegetali e animali.
  • Rilascio di gas serra: lo scioglimento del permafrost libera grandi quantità di carbonio accumulato nel suolo sotto forma di materiale organico parzialmente decomposto. Una volta esposto a condizioni più calde, tale materiale si decompone ulteriormente, emettendo anidride carbonica (CO₂) e metano (CH₄), con un effetto amplificante sul cambiamento climatico.

4. Cause principali dell’accelerazione​

4.1 Aumento delle temperature superficiali e sottosuolo​

Il rapido innalzamento delle temperature dell’aria nell’Artico contribuisce a riscaldare gli strati superficiali del terreno. Nel periodo estivo, questo calore può penetrare più in profondità, sciogliendo porzioni sempre maggiori di permafrost rispetto al passato.

4.2 Mutamenti nei regimi di precipitazioni​

I ricercatori hanno inoltre osservato un aumento delle precipitazioni estive in alcune regioni artiche. Le piogge più abbondanti portano acqua tiepida nel sottosuolo, accelerando ulteriormente il disgelo. Anche la neve invernale più umida e abbondante può avere un effetto isolante, impedendo la penetrazione del gelo e favorendo la conservazione di temperature più alte nel terreno.

4.3 Crescente esposizione all’azione marina​

Con la riduzione della banchisa polare estiva, le coste artiche risultano più esposte all’azione delle onde e di acque relativamente più calde. L’intrusione marina erode fisicamente la costa e riscalda ulteriormente il suolo, favorendo la degradazione del permafrost costiero.


5. Implicazioni future e possibili soluzioni​

5.1 Prospettive climatiche​

La scoperta di un aumento del tasso di sprofondamento del terreno indica che il riscaldamento in atto potrebbe innescare meccanismi di retroazione positivi (feedback loop) nel sistema climatico. Con il continuo disgelo del permafrost, si teme un rilascio sempre più grande di gas serra, che a sua volta potrebbe accelerare ulteriormente il riscaldamento globale.

5.2 Gestione delle infrastrutture​

Le comunità locali e i governi dei Paesi artici dovranno rivedere i codici di costruzione, adottando progetti ingegneristici resistenti ai movimenti del suolo e alle deformazioni. Potrebbe essere necessario implementare:

  • Sistemi di raffreddamento artificiale del suolo nelle aree critiche (ad es. thermosiphons).
  • Metodi di monitoraggio continuo tramite sensori geotecnici e satelliti per individuare precocemente possibili cedimenti.

5.3 Tutela degli ecosistemi​

Con l’aumento dei laghi termocarstici e dei terreni paludosi, la biodiversità artica subirà trasformazioni rapide. Saranno necessarie misure di conservazione mirate per salvaguardare specie endemiche e adattare la gestione delle aree protette a queste nuove condizioni.

5.4 Cooperazione internazionale​

La ricerca in Artico, compreso il monitoraggio del permafrost, richiede una forte collaborazione tra istituzioni scientifiche internazionali, organismi governativi e comunità indigene. Solo attraverso una condivisione di dati e risorse sarà possibile elaborare strategie globali per mitigare e adattarsi agli effetti sempre più evidenti dello scioglimento del permafrost.


6. Conclusioni​

Lo studio della George Washington University fornisce un ulteriore campanello d’allarme sui potenziali impatti del cambiamento climatico nelle regioni polari. Il rapido incremento del tasso di subsidenza del suolo in Artico sottolinea la fragilità di questi ambienti e la necessità di interventi tempestivi sia per preservare gli equilibri ecologici sia per garantire la sicurezza delle popolazioni e delle infrastrutture locali.

Sebbene gli scienziati continuino a migliorare la comprensione dei processi fisici e climatici coinvolti, rimane essenziale ridurre le emissioni globali di gas serra per contenere la portata del riscaldamento e, di conseguenza, rallentare la degradazione del permafrost. Solo attraverso azioni coordinate e una crescente consapevolezza dell’intera comunità internazionale sarà possibile fronteggiare in modo efficace questa sfida emergente.


Riferimenti (selezionati)

  • Pubblicazioni della George Washington University relative ai cambiamenti del permafrost artico.
  • Rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sugli effetti del disgelo del permafrost e sulle proiezioni climatiche future.
  • Letteratura scientifica su tecniche di rilevamento satellitare (InSAR) e monitoraggio del permafrost.
Questo testo rappresenta una sintesi estesa di quanto emerso dallo studio e dalle conoscenze attuali in materia di permafrost artico. I risultati evidenziano che un fenomeno apparentemente distante e circoscritto, come il sprofondamento del suolo in regioni remote, ha profonde ripercussioni sull’intero sistema climatico e, di riflesso, sulla stabilità economica e sociale delle popolazioni artiche (e non solo).
 

Gabriele14

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I dati parlano di una situazione preoccupante. Sinceramente un peggioramento come quest'anno ancora non l'avevo mai visto. C'è da capire se si sia già oltrepassato un punto di non ritorno.
 

Andrea Sciandra

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I dati parlano di una situazione preoccupante. Sinceramente un peggioramento come quest'anno ancora non l'avevo mai visto. C'è da capire se si sia già oltrepassato un punto di non ritorno.
Secondo me dipende molto da cosa si intende per punto di non ritorno: se intendiamo il punto oltrepassato il quale non è più possibile evitare lo scenario peggiore, pensando ai report ipcc, allora possiamo essere ancora in tempo, se invece si intende la possibilità di tornare alla normalità dei decenni passati è ovviamente impossibile che questo accada nei prossimi secoli. In generale la situazione è molto preoccupante e pericolosa, anche perché non sappiamo davvero a cosa può portare un'estremizzazione dello scioglimento della calotta artica, ci troviamo sicuramente in un territorio inesplorato.
 

Gabriele14

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Secondo me dipende molto da cosa si intende per punto di non ritorno: se intendiamo il punto oltrepassato il quale non è più possibile evitare lo scenario peggiore, pensando ai report ipcc, allora possiamo essere ancora in tempo, se invece si intende la possibilità di tornare alla normalità dei decenni passati è ovviamente impossibile che questo accada nei prossimi secoli. In generale la situazione è molto preoccupante e pericolosa, anche perché non sappiamo davvero a cosa può portare un'estremizzazione dello scioglimento della calotta artica, ci troviamo sicuramente in un territorio inesplorato.
Condivido l'ultima parte del tuo messaggio, ci troviamo in un territorio inesplorato, ed è questo che mi preoccupa. La realtà è che risulta veramente difficile dare anche la più semplice risposta, non sappiamo questo trend che evoluzione possa avere, i picchi degli ultimi due anni nelle temperature globali non erano nemmeno previsti dai modelli, questo cosa comporta? Siamo di fronte a un incremento esponenziale della crisi o sono solo picchi isolati che rientreranno? Quali possono essere gli scenari per il medio termine. Mi spaventa non vedere questa cosa in cima all'agenda politica mondiale, non si può continuare a trascurare in questo modo la salute del nostro pianeta. Qui ci affanniamo giustamente a cercare occasioni invernali per il nostro orticello, ma non possiamo non considerare che stiamo giocando in un nuovo campo, con nuove regole che non conosciamo.
 

Alessandro 81

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Analisi dell’estensione e della concentrazione del ghiaccio marino nell’Artico e nell’Antartico per gennaio 2025: un aggiornamento dal programma Copernicus
https://climate.copernicus.eu/sea-ice-cover-january-2025
Introduzione

Il ghiaccio marino rappresenta un componente cruciale del sistema climatico terrestre, influenzando la circolazione termoalina globale, l’albedo planetaria e gli ecosistemi polari. Il servizio Copernicus Climate Change Service (C3S), in collaborazione con l’ECMWF e l’EUMETSAT, ha recentemente pubblicato un aggiornamento sull’estensione e la concentrazione del ghiaccio marino per il mese di gennaio 2025, basato sui dati dell’OSI SAF Sea Ice Index v2.2 e del dataset ERA5. Questo rapporto evidenzia dinamiche divergenti tra le regioni polari: un minimo storico nell’estensione del ghiaccio marino artico e una relativa stabilità nell’Antartico rispetto agli anni precedenti. Di seguito, analizziamo in dettaglio i risultati per entrambe le regioni, contestualizzandoli nel quadro delle tendenze climatiche a lungo termine.
Artico: un nuovo minimo storico
L’estensione media mensile del ghiaccio marino artico a gennaio 2025 è stata stimata in 13,1 milioni di km², pari al 6% (0,8 milioni di km²) al di sotto della media climatologica del periodo 1991-2020. Questo valore segna il minimo storico per il mese di gennaio nel dataset satellitare, iniziato nel 1979, ed è virtualmente equivalente al precedente minimo di gennaio 2018. Tale risultato segue un dicembre 2024 già caratterizzato da un’estensione eccezionalmente bassa, suggerendo una persistenza di condizioni anomale nell’emisfero settentrionale durante la stagione invernale.
L’analisi delle serie temporali rivela che, sebbene la riduzione dell’estensione del ghiaccio marino artico sia stata marcata dagli anni Ottanta, con un trend negativo medio stimato in circa -0,5 milioni di km² per decennio, la traiettoria si è parzialmente stabilizzata dalla metà degli anni 2000. Questa apparente attenuazione della tendenza è attribuibile a una maggiore variabilità interannuale, con anni di anomalie moderate (come il 2021 e il 2023) alternati a estremi significativi, come osservato nel 2025. Tuttavia, il dato giornaliero al 31 gennaio 2025, pari a 13,4 milioni di km², rappresenta il valore più basso mai registrato per tale data, superando anche il precedente minimo del 2017 per lo stesso periodo.
Dal punto di vista spaziale, le anomalie di concentrazione del ghiaccio marino si concentrano nei mari periferici piuttosto che nell’Oceano Artico centrale, che conserva una copertura pressoché totale. Le regioni più colpite includono il settore canadese orientale (Baia di Hudson orientale, Stretto di Hudson e Mare del Labrador occidentale), dove le concentrazioni sono risultate significativamente inferiori alla media, coerentemente con temperature superficiali dell’aria insolitamente elevate. Anomalie negative si rilevano anche nel Mare di Barents settentrionale, nel Mare di Bering e nel Mare di Okhotsk, mentre concentrazioni sopra la media sono limitate al settore nord-orientale dell’Atlantico, in particolare nel Mare di Groenlandia e nella zona tra Svalbard e la Terra di Francesco Giuseppe.
Questi pattern suggeriscono l’influenza combinata di fattori atmosferici e oceanici, tra cui una possibile intensificazione delle correnti calde atlantiche e una ridotta formazione di ghiaccio stagionale nelle aree marginali. La correlazione con temperature superficiali sopra la media nel settore canadese orientale evidenzia il ruolo del feedback di amplificazione artica, in cui la perdita di ghiaccio riduce l’albedo, favorendo un ulteriore riscaldamento regionale.
Antartico: una stabilizzazione relativa
In contrasto con l’Artico, l’estensione media del ghiaccio marino antartico a gennaio 2025 è stata di 5,2 milioni di km², corrispondente a un’anomalia negativa del 5% (0,3 milioni di km²) rispetto alla media 1991-2020. Sebbene questo deficit sia statisticamente rilevante, si colloca in un intervallo di variabilità più moderato rispetto agli anni recenti, segnati da anomalie eccezionali come il -30% di gennaio 2023. Il dato del 2025 è simile a quello del 2021 (-3%), indicando una parziale ripresa rispetto alla serie di minimi storici osservati tra il 2016 e il 2024.
L’estensione giornaliera al 31 gennaio 2025, pari a 3,4 milioni di km², si posiziona appena sotto la mediana del periodo di riferimento e si classifica all’11° posto tra i valori più bassi per quella data. Questo valore riflette una stagione di fusione relativamente stabile, con l’estensione che, durante gennaio, ha oscillato attorno alla media, superandola occasionalmente. Tale comportamento contrasta con il rapido declino osservato nel 2023 e 2024, suggerendo una temporanea attenuazione delle dinamiche di perdita di ghiaccio nell’emisfero australe.
Le anomalie di concentrazione mostrano una distribuzione eterogenea. Nel Mare di Amundsen, le concentrazioni sono risultate sopra la media, probabilmente a causa di un rafforzamento delle correnti di deriva o di una ridotta fusione locale. Al contrario, i Mari di Ross e Bellingshausen e la costa dell’Antartide orientale presentano valori inferiori alla media, coerentemente con un’espansione limitata del ghiaccio stagionale in queste regioni. I settori di Weddell e Ross-Amundsen, che ospitano le principali masse di ghiaccio residue a gennaio, mostrano un mix di anomalie positive e negative, evidenziando la complessità dei processi circolatori e termodinamici nell’Oceano Australe.
Discussione: implicazioni climatiche e prospettive future
I dati di gennaio 2025 confermano la divergente evoluzione del ghiaccio marino nelle due regioni polari. Nell’Artico, il nuovo minimo storico riflette una vulnerabilità crescente, legata all’amplificazione del riscaldamento globale e alla transizione verso un regime di ghiaccio stagionale più sottile e frammentato. La persistenza di anomalie negative nei mari periferici potrebbe avere ripercussioni sugli ecosistemi marini e sulle comunità indigene che dipendono dal ghiaccio per la loro sussistenza.
Nell’Antartico, la relativa stabilità del 2025 non deve essere interpretata come un’inversione di tendenza. Le fluttuazioni interannuali nell’Oceano Australe sono fortemente modulate da fenomeni come l’Oscillazione Antartica (AAO) e la variabilità delle correnti circumantartiche, che possono temporaneamente mascherare il segnale del riscaldamento globale. La ripresa parziale rispetto ai minimi estremi del 2023-2024 potrebbe essere transitoria, e il monitoraggio continuo sarà essenziale per discernere tra variabilità naturale e trend a lungo termine.1740165276736.png1740165234434.png
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Alessandro 81

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Il Copernicus Climate Change Service (C3S): struttura, obiettivi e collaborazioni con ECMWF ed EUMETSAT
Introduzione

Il Copernicus Climate Change Service (C3S) rappresenta uno dei pilastri del programma Copernicus, un’iniziativa dell’Unione Europea (UE) volta a fornire dati e servizi basati sull’osservazione della Terra per affrontare le sfide ambientali e climatiche globali. Gestito dalla Commissione Europea, il programma Copernicus si avvale di una rete di enti e organizzazioni specializzate, tra cui il Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a Medio Termine (ECMWF) e l’Organizzazione Europea per l’Utilizzo dei Satelliti Meteorologici (EUMETSAT). Il C3S, in particolare, è dedicato al monitoraggio del clima, alla produzione di dataset climatici consistenti e alla disseminazione di informazioni utili per l’adattamento e la mitigazione del cambiamento climatico. Questo testo esplora la struttura del C3S, i suoi obiettivi scientifici e il ruolo delle collaborazioni con ECMWF ed EUMETSAT, con un’enfasi sul loro contributo alla comprensione delle dinamiche climatiche, come quelle relative al ghiaccio marino.
Struttura e obiettivi del C3S
Il C3S è stato istituito per rispondere alla crescente necessità di informazioni climatiche affidabili, accessibili e standardizzate, in linea con gli impegni internazionali come l’Accordo di Parigi e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Operativo dal 2014 sotto la gestione dell’ECMWF, il servizio si basa su tre pilastri principali:
  1. Dataset climatici: produzione di serie temporali di variabili climatiche essenziali (ad esempio, temperatura, precipitazioni, estensione del ghiaccio marino) attraverso osservazioni in situ, dati satellitari e modelli di rianalisi.
  2. Servizi operativi: fornitura di prodotti climatici personalizzati, come indicatori stagionali, proiezioni a lungo termine e valutazioni di impatto settoriale (agricoltura, energia, gestione delle risorse idriche).
  3. Accesso aperto: garantire la disponibilità gratuita dei dati tramite il Climate Data Store (CDS), una piattaforma digitale che integra informazioni grezze, elaborazioni e strumenti di visualizzazione.
L’obiettivo primario del C3S è colmare il divario tra la ricerca climatica e le esigenze operative di policymaker, scienziati e cittadini. Ad esempio, nel caso del monitoraggio del ghiaccio marino per gennaio 2025, il C3S ha prodotto analisi dettagliate sull’estensione e la concentrazione del ghiaccio nelle regioni polari, integrando dati satellitari e modelli numerici per fornire un quadro completo delle anomalie climatiche.
Il ruolo dell’ECMWF
Il Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a Medio Termine (ECMWF), con sede a Reading (Regno Unito) e uffici operativi a Bonn e Bologna, è un’organizzazione intergovernativa riconosciuta a livello globale per la sua eccellenza nella modellistica numerica del clima e delle previsioni meteorologiche. L’ECMWF gestisce il C3S per conto della Commissione Europea, coordinando le attività scientifiche e tecniche necessarie alla produzione di dati climatici. Tra i suoi contributi principali vi è lo sviluppo del sistema di rianalisi ERA5, un dataset che combina osservazioni storiche con modelli atmosferici e oceanici per ricostruire lo stato del clima globale dal 1940 a oggi con una risoluzione spaziale di circa 31 km.
ERA5 è fondamentale per il C3S, poiché fornisce una base coerente per analizzare variabili come la concentrazione del ghiaccio marino, le temperature superficiali e i flussi di calore. Nel contesto del rapporto sul ghiaccio marino di gennaio 2025, i dati ERA5 hanno permesso di mappare le anomalie di concentrazione nell’Artico e nell’Antartico, evidenziando regioni critiche come il settore canadese orientale e il Mare di Amundsen. Inoltre, l’ECMWF supporta il C3S con simulazioni stagionali e proiezioni climatiche a lungo termine, utilizzando il sistema integrato di previsione (IFS), che integra dinamiche atmosferiche, oceaniche e terrestri.
Il contributo di EUMETSAT
L’Organizzazione Europea per l’Utilizzo dei Satelliti Meteorologici (EUMETSAT), con sede a Darmstadt (Germania), è un partner chiave del C3S, specializzato nella gestione di satelliti meteorologici e nella fornitura di dati osservativi in tempo reale e storici. EUMETSAT opera una flotta di satelliti geostazionari (Meteosat) e in orbita polare (Metop), che raccolgono informazioni su parametri climatici essenziali, come la riflettanza superficiale, la temperatura del mare e l’estensione del ghiaccio marino. Uno dei prodotti di punta di EUMETSAT utilizzati dal C3S è l’OSI SAF Sea Ice Index, un dataset che monitora il ghiaccio marino globale con una risoluzione temporale giornaliera e mensile dal 1979.
Nel caso del rapporto di gennaio 2025, l’OSI SAF Sea Ice Index v2.2 ha fornito i dati di base per calcolare l’estensione del ghiaccio marino artico (13,1 milioni di km²) e antartico (5,2 milioni di km²), consentendo confronti con la climatologia 1991-2020. La capacità di EUMETSAT di integrare dati da più sensori satellitari, come i radiometri a microonde passivi e gli scatterometri, garantisce una copertura continua delle regioni polari, anche in presenza di nuvolosità o buio invernale, condizioni che limitano i sensori ottici tradizionali.
Sinergia tra C3S, ECMWF ed EUMETSAT
La collaborazione tra C3S, ECMWF ed EUMETSAT è un esempio di integrazione tra osservazioni, modellistica e servizi operativi. EUMETSAT fornisce i dati grezzi satellitari, che vengono elaborati e validati dall’ECMWF tramite modelli di assimilazione dati. Il C3S, a sua volta, trasforma queste informazioni in prodotti accessibili e contestualizzati, come le serie temporali delle anomalie del ghiaccio marino o le mappe di concentrazione. Questa catena operativa è essenziale per garantire la coerenza e l’affidabilità dei risultati, specialmente in un contesto di cambiamento climatico rapido, dove la variabilità interannuale e i trend a lungo termine devono essere distinti con precisione.
Un esempio concreto di questa sinergia è visibile nell’analisi del ghiaccio marino di gennaio 2025. I dati giornalieri di EUMETSAT hanno permesso di tracciare l’evoluzione dell’estensione artica fino al minimo record del 31 gennaio (13,4 milioni di km²), mentre la rianalisi ERA5 dell’ECMWF ha fornito il contesto spaziale delle anomalie, evidenziando il ruolo delle temperature elevate nel settore canadese orientale. Il C3S ha poi integrato questi elementi in un rapporto comprensibile, arricchito da grafici e serie temporali, accessibile tramite il Climate Data Store.
Implicazioni scientifiche e operative
La partnership tra C3S, ECMWF ed EUMETSAT ha implicazioni profonde per la ricerca climatica e la gestione delle crisi ambientali. I dati prodotti consentono agli scienziati di validare modelli climatici, come quelli del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), e di studiare fenomeni complessi come l’amplificazione artica o la variabilità dell’Oceano Australe. Allo stesso tempo, i prodotti del C3S supportano decisioni operative, ad esempio nella pianificazione di rotte marittime nelle regioni polari o nella gestione delle risorse idriche in aree colpite da siccità.
Conclusioni
Il Copernicus Climate Change Service, in sinergia con l’ECMWF e l’EUMETSAT, rappresenta un’infrastruttura scientifica di riferimento per il monitoraggio del clima globale. La combinazione di dati satellitari ad alta risoluzione, modelli di rianalisi avanzati e un’interfaccia utente aperta come il Climate Data Store permette di trasformare osservazioni complesse in conoscenza actionable. Nel contesto del rapporto sul ghiaccio marino di gennaio 2025, questa collaborazione ha evidenziato la criticità delle condizioni nell’Artico e la relativa stabilità nell’Antartico, offrendo una base solida per ulteriori studi e interventi. In un’epoca di cambiamento climatico accelerato, il lavoro congiunto di queste organizzazioni è indispensabile per comprendere e affrontare le trasformazioni del nostro pianeta.
 

Gabriele14

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Quest'estate ci facciamo un male che ce lo ricordiamo. Resto sconcertato dalla totale mancanza di copertura mediatica di ciò che sta accandendo nell'artico, dati di cui anche una persona digiuna di climatologia comprenderebbe la gravità. Temo che il famoso punto di non ritorno sia stato definitivamente raggiunto, e che il mondo prenderà veramente consapevolezza di questo solo dopo grosse catastrofi naturali, che presto arriveranno, ma sarà ormai tardi. Sia chiaro che non parliamo di estinzione, la Terra può sostenere climi ben più estremi di questo, anzi, il problema è per noi, per come ci siamo adattati a un mondo che inevitabilmente cambierà, con severe conseguenze sulle spalle di amplissime fasce deboli di popolazione.
 

Alessandro 81

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Researchers Identify Mechanism Responsible for Temperature and Salinity 'Staircases' In Arctic Ocean
https://phys.org/news/2022-09-mechanism-responsible-temperature-salinity-staircases.html
Studio sul meccanismo delle "scale" di temperatura e salinità nell'Oceano Artico
Nell'Oceano Artico, gli oceanografi hanno da tempo osservato un fenomeno peculiare noto come "scale" di temperatura e salinità, ovvero strati distinti di acqua marina caratterizzati da gradini netti di densità, temperatura e concentrazione salina. Queste strutture, che si manifestano come una stratificazione verticale a gradoni, sono state al centro di un recente studio condotto da un team di ricercatori, i cui risultati sono stati pubblicati il 13 settembre 2022. Lo studio, disponibile su Phys.org, identifica un meccanismo fisico chiave alla base della formazione di tali scale, offrendo nuove prospettive sulla dinamica degli oceani polari e sul loro ruolo nei processi climatici globali.
Contesto e rilevanza del fenomeno
Le "scale" di temperatura e salinità sono state documentate per la prima volta decenni fa in varie regioni dell'Oceano Artico, in particolare nel bacino canadese e nelle aree centrali del mare polare. Queste strutture si presentano come una serie di strati orizzontali ben definiti, ciascuno con valori quasi uniformi di temperatura e salinità, separati da interfacce sottili in cui si registrano bruschi cambiamenti di queste proprietà. Tipicamente, gli strati più caldi e salati si trovano sopra strati più freddi e meno salati, una configurazione che sembra sfidare l'intuizione, dato che l'acqua più calda e salata è generalmente più densa e dovrebbe tendere a sprofondare. La persistenza di questa stratificazione suggerisce l'esistenza di un processo fisico che contrasta la miscelazione verticale e mantiene la stabilità degli strati.
Questo fenomeno è di particolare interesse scientifico perché l'Oceano Artico gioca un ruolo cruciale nella regolazione del clima terrestre. La sua stratificazione influenza la circolazione termoalina globale, il bilancio termico e lo scambio di gas serra tra oceano e atmosfera. Comprendere i meccanismi che governano le "scale" può quindi migliorare i modelli climatici e le previsioni sugli impatti del cambiamento climatico nelle regioni polari, dove il riscaldamento globale sta già alterando significativamente gli equilibri ambientali.
Meccanismo identificato: la diffusione molecolare e il "double-diffusive convection"
Il cuore dello studio risiede nell'identificazione della convezione a doppia diffusione ("double-diffusive convection") come meccanismo primario responsabile della formazione e del mantenimento delle scale di temperatura e salinità. Questo processo fisico si basa sulla diversa velocità di diffusione molecolare del calore e del sale nell'acqua di mare. Il calore si diffonde rapidamente attraverso l'acqua (con un coefficiente di diffusione termica dell'ordine di 10⁻⁷ m²/s), mentre il sale si diffonde molto più lentamente (coefficiente di diffusione del sale dell'ordine di 10⁻⁹ m²/s). Questa discrepanza crea condizioni in cui la stabilità degli strati può essere mantenuta o addirittura rafforzata, nonostante le differenze di densità tra gli strati stessi.
Nella convezione a doppia diffusione, si distinguono due configurazioni principali: il regime "salt-fingering" e il regime "diffusive". Nell'Oceano Artico, il regime rilevante per le scale di temperatura e salinità è il secondo, noto come "diffusive convection". Questo si verifica quando uno strato di acqua calda e salata sovrasta uno strato di acqua più fredda e meno salata. Sebbene la densità complessiva dello strato superiore sia maggiore a causa dell'elevata salinità, il rapido trasferimento di calore verso lo strato inferiore tende a riscaldarlo, riducendo il gradiente di densità e stabilizzando l'interfaccia tra gli strati. Nel frattempo, la lenta diffusione del sale impedisce una miscelazione significativa, preservando la discontinuità salina.
Il risultato di questo processo è la formazione di strati convettivi ben mescolati, separati da interfacce sottili e stabili. Con il tempo, questi strati si organizzano in una struttura a gradoni, o "scala", che può persistere per lunghi periodi, anche in presenza di turbolenza o altri disturbi esterni.
Metodologia dello studio
Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori hanno combinato osservazioni sul campo, analisi di dati storici e simulazioni numeriche. Le misurazioni dirette sono state effettuate utilizzando strumenti come i CTD (Conduttività, Temperatura, Profondità), che hanno permesso di registrare profili verticali ad alta risoluzione di temperatura e salinità in diverse località dell'Oceano Artico. Questi dati hanno confermato la presenza di strati con spessori variabili tra pochi metri e decine di metri, separati da interfacce di transizione spesse solo decine di centimetri.
Le simulazioni numeriche hanno poi permesso di testare il ruolo della convezione a doppia diffusione in un ambiente controllato. I modelli hanno riprodotto con successo le caratteristiche delle scale osservate, dimostrando che la differenza nei tassi di diffusione di calore e sale è sufficiente a generare e mantenere la stratificazione a gradoni. Inoltre, i ricercatori hanno esplorato come fattori esterni, come il flusso di calore geotermico dal fondo oceanico o l'apporto di acqua dolce da fiumi e ghiaccio marino in fusione, possano modulare l'intensità e la distribuzione delle scale.
Implicazioni scientifiche e climatiche
La scoperta del meccanismo alla base delle scale di temperatura e salinità ha implicazioni significative per la comprensione della dinamica oceanica artica. In primo luogo, rafforza l'idea che i processi a piccola scala, come la diffusione molecolare, possano avere un impatto rilevante sulla struttura su larga scala degli oceani. Questo sottolinea la necessità di includere tali processi nei modelli oceanografici e climatici, che spesso si concentrano su fenomeni di scala maggiore come le correnti o il vento.
In secondo luogo, lo studio suggerisce che le scale potrebbero influenzare il trasporto verticale di calore e nutrienti nell'Oceano Artico. Ad esempio, la stabilità degli strati può limitare la risalita di acque profonde ricche di nutrienti verso la superficie, con conseguenze per gli ecosistemi marini e la produttività biologica. Inoltre, la presenza di acqua calda intrappolata negli strati superiori potrebbe accelerare la fusione del ghiaccio marino, un feedback positivo che amplifica il riscaldamento regionale.
Infine, il cambiamento climatico rappresenta una variabile critica. L'aumento delle temperature globali e la crescente immissione di acqua dolce nell'Oceano Artico (dovuta alla fusione del ghiaccio e a maggiori precipitazioni) potrebbero alterare i gradienti di temperatura e salinità, modificando la dinamica della convezione a doppia diffusione. Ciò potrebbe portare a una riduzione della formazione delle scale o a un cambiamento nella loro struttura, con effetti ancora incerti sulla circolazione oceanica e sul clima.
Conclusioni e prospettive future
Lo studio rappresenta un passo avanti significativo nella comprensione delle complesse interazioni fisiche che caratterizzano l'Oceano Artico. Identificando la convezione a doppia diffusione come il meccanismo responsabile delle scale di temperatura e salinità, i ricercatori hanno fornito una spiegazione elegante e verificabile di un fenomeno a lungo enigmatico. Tuttavia, rimangono molte domande aperte. Ad esempio, è necessario approfondire come le scale si evolvono su scale temporali lunghe e come rispondono a forcing esterni variabili, come i venti stagionali o i cambiamenti nella copertura di ghiaccio.
Futuri studi potrebbero anche esplorare l'interazione tra le scale e altri processi oceanici, come la formazione di vortici o la miscelazione indotta dalle maree. Inoltre, l'integrazione di questi risultati nei modelli climatici globali sarà essenziale per valutare il loro impatto su scala planetaria. In un'epoca di rapido cambiamento climatico, comprendere i dettagli della dinamica dell'Oceano Artico non è solo una questione accademica, ma una necessità per prevedere e mitigare gli effetti di un pianeta in trasformazione.1740667010355.png
 

Alessandro 81

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Revisiting the Last Ice Area projections from a high-resolution Global Earth System Model​

https://www.nature.com/articles/s43247-025-02034-5.pdf
Introduzione e razionale scientifico
Il rapido declino del ghiaccio marino artico, guidato dall’aumento delle temperature globali, è uno degli indicatori più evidenti del cambiamento climatico antropogenico. Le proiezioni dei modelli climatici globali (GCM) suggeriscono che l’Oceano Artico potrebbe diventare stagionalmente privo di ghiaccio entro il 2040-2050, con la perdita della copertura estiva come evento emblematico del riscaldamento globale. In questo contesto, la Last Ice Area (LIA), una regione situata a nord della Groenlandia e dell’arcipelago artico canadese settentrionale, è stata identificata come l’ultima enclave dove il ghiaccio marino pluriennale potrebbe resistere più a lungo, grazie alla sua posizione favorevole e alla dinamica locale del ghiaccio. Tuttavia, le stime precedenti sulla longevità della LIA si basavano su GCM a bassa risoluzione spaziale, incapaci di rappresentare con precisione i processi fisici critici, come il trasporto del ghiaccio attraverso i passaggi stretti dell’arcipelago artico canadese (CAA) e dello stretto di Nares.
Lo studio condotto da Fol et al. si propone di colmare questa lacuna attraverso l’utilizzo di un modello di sistema terrestre globale ad alta risoluzione, il Community Earth System Model (CESM), per rivalutare le proiezioni della LIA sotto uno scenario di forzatura climatica estrema (RCP8.5). L’obiettivo è comprendere meglio la dinamica del ghiaccio marino in questa regione cruciale e valutare la sua resilienza al riscaldamento futuro.

Approccio metodologico
Gli autori hanno impiegato una configurazione del CESM con una risoluzione spaziale significativamente migliorata rispetto ai GCM tradizionali: circa 0.1° (equivalenti a 10 km) per le componenti oceaniche e di ghiaccio marino, rispetto alla tipica risoluzione di 1° (circa 100 km) dei modelli standard. Questa griglia raffinata permette di risolvere i dettagli topografici e dinamici dei canali del CAA e dello stretto di Nares, migliorando la rappresentazione dei flussi di ghiaccio e delle interazioni tra atmosfera, oceano e ghiaccio marino.
Le simulazioni sono state eseguite utilizzando lo scenario RCP8.5, che prevede un aumento del forcing radiativo di 8.5 W/m² entro il 2100, corrispondente a un futuro con elevate emissioni di gas serra e scarso controllo climatico. Questo scenario estremo è stato scelto per testare i limiti della resilienza della LIA, offrendo una prospettiva conservativa sulla sua vulnerabilità.
I parametri analizzati includono:
  • Spessore del ghiaccio marino (in metri), come proxy della sua capacità di resistere alla fusione e alla frammentazione.
  • Velocità di deriva (in m/s), indicativa della mobilità del ghiaccio sotto l’influenza di venti e correnti.
  • Flusso di ghiaccio esportato (in km³/anno), calcolato attraverso i principali canali di uscita della LIA.
  • Copertura di ghiaccio (in percentuale), che definisce la continuità spaziale e stagionale del ghiaccio marino.
Questi dati sono stati confrontati con le proiezioni dei modelli a bassa risoluzione per evidenziare discrepanze e affinare le stime sulla persistenza della LIA.

Risultati scientifici
1. Riduzione dello spessore e frammentazione del ghiaccio
Le simulazioni ad alta risoluzione indicano una marcata riduzione dello spessore del ghiaccio nella LIA nel corso del XXI secolo. Mentre i modelli a bassa risoluzione prevedevano che il ghiaccio pluriennale spesso (>2 m) potesse persistere fino al 2100, il CESM suggerisce che lo spessore medio potrebbe scendere sotto 1 metro entro il 2050-2070 sotto RCP8.5. Questo assottigliamento è attribuito all’aumento delle temperature superficiali dell’oceano e dell’atmosfera, amplificato dal feedback albedo: il ghiaccio più sottile riflette meno radiazione solare, accelerando il processo di fusione.
Contemporaneamente, il ghiaccio diventa più suscettibile alla frammentazione e al movimento. La velocità di deriva aumenta, specialmente durante i mesi estivi, a causa della diminuzione della coesione meccanica del ghiaccio e dell’intensificazione dei pattern di vento e delle correnti oceaniche, risultando in una copertura meno stabile e più dinamica.
2. Incremento del trasporto di ghiaccio verso sud
Un elemento chiave emerso dalle simulazioni è l’aumento significativo dell’esportazione di ghiaccio attraverso i canali del CAA e lo stretto di Nares. Nei modelli a bassa risoluzione, la rappresentazione approssimativa di questi passaggi stretti sottostimava il flusso di ghiaccio verso latitudini inferiori. Il CESM ad alta risoluzione mostra invece che, con il ghiaccio più sottile e mobile, il flusso di esportazione potrebbe superare i 1000 km³/anno entro la metà del secolo. Questo processo sottrae massa di ghiaccio alla LIA, riducendone la capacità di mantenere una copertura persistente.
3. Declino accelerato della LIA
Il risultato più critico dello studio è la proiezione che la LIA potrebbe cessare di esistere come area di ghiaccio marino persistente entro il 2050-2060, pochi anni dopo che l’Oceano Artico centrale diventa stagionalmente privo di ghiaccio (atteso intorno al 2040-2050 sotto RCP8.5). Questo declino è definito dalla caduta della concentrazione di ghiaccio al di sotto del 15% durante l’estate, un livello che segna la perdita di funzionalità ecologica e climatica della regione. Tale tempistica è notevolmente più precoce rispetto alle stime precedenti, che collocavano la scomparsa della LIA verso la fine del XXI secolo o oltre.

Discussione e implicazioni
Impatti sul sistema climatico
La perdita anticipata della LIA avrebbe ripercussioni significative sul bilancio energetico globale. Il ghiaccio marino contribuisce a mantenere basse le temperature artiche riflettendo la radiazione solare; la sua scomparsa intensificherebbe il riscaldamento regionale attraverso il feedback albedo, con effetti indiretti sul rilascio di metano dal permafrost e sulla stabilità della circolazione oceanica atlantica. Inoltre, l’aumento dell’esportazione di ghiaccio verso il Mare del Labrador e il Nord Atlantico potrebbe alterare le temperature superficiali marine, influenzando i pattern meteorologici in Nord America ed Europa occidentale.
Conseguenze ecologiche
Dal punto di vista ecologico, la LIA rappresenta un habitat essenziale per specie adattate al ghiaccio, tra cui orsi polari, foche e comunità di microorganismi marini. La riduzione dello spessore e della stabilità del ghiaccio comprometterebbe la disponibilità di piattaforme per la caccia e la riproduzione, portando a un potenziale collasso delle popolazioni locali. La transizione verso un ghiaccio stagionale e mobile accentuerebbe ulteriormente queste pressioni, riducendo la capacità della LIA di fungere da rifugio per la biodiversità artica.
Progressi rispetto ai modelli precedenti
Questo studio evidenzia i limiti dei GCM a bassa risoluzione nella modellazione delle dinamiche artiche, dimostrando che la risoluzione spaziale è cruciale per catturare i processi locali che governano la persistenza del ghiaccio marino. L’approccio ad alta risoluzione adottato da Fol et al. offre una visione più realistica della vulnerabilità della LIA, ponendo le basi per futuri miglioramenti nei modelli climatici.

Conclusioni e raccomandazioni
Il lavoro di Fol et al. ridefinisce le prospettive sulla Last Ice Area, mostrando che il suo declino potrebbe avvenire entro poche decadi sotto uno scenario di alte emissioni. La combinazione di assottigliamento del ghiaccio, aumento della deriva e esportazione massiva attraverso i canali artici suggerisce una resilienza inferiore rispetto a quanto stimato in precedenza, con una possibile scomparsa entro il 2050-2060.
Gli autori raccomandano ulteriori indagini per esplorare scenari di emissione più contenuti (es. RCP2.6 o RCP4.5) e per integrare dati osservativi, come misurazioni satellitari e in situ, nelle simulazioni numeriche. Inoltre, propongono misure di conservazione per mitigare gli impatti ecologici, come la protezione delle aree di transizione per le specie dipendenti dal ghiaccio.
In definitiva, questo studio sottolinea l’urgenza di interventi globali per ridurre le emissioni di gas serra e preservare la LIA, un elemento critico del sistema climatico e biologico dell’Artico, mettendo in luce il valore dei modelli ad alta risoluzione per affrontare le complessità del cambiamento climatico.
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