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Andamento ghiacci stagione estiva 2025

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Analisi scientifica dell’estensione del ghiaccio marino artico e antartico: maggio 2025​

https://nsidc.org/sea-ice-today/analyses/may-sea-icealways-grace-our-planets-poles

1. Panoramica generale dell'estensione del ghiaccio marino a maggio 2025​

Durante il mese di maggio 2025, l’estensione media del ghiaccio marino artico ha raggiunto i 12,56 milioni di chilometri quadrati (NSIDC, 2025). Questo valore colloca il mese di maggio al settimo posto tra i minimi storici della serie satellitare iniziata nel 1979, a pari merito con il 2004. Rispetto al record minimo per il mese di maggio registrato nel 2016, il valore del 2025 risulta comunque superiore di circa 640.000 km². La perdita di ghiaccio è risultata particolarmente concentrata nei settori del Mare di Barents, del Mare di Bering e del Mare di Okhotsk.

2. Configurazione atmosferica e forzanti sinottiche​

Le condizioni atmosferiche a maggio 2025 sono state caratterizzate da anomalie termiche positive sull’Artico, con temperature a 925 hPa fino a +1°C sopra la norma (NSIDC, 2025; NOAA ESRL, 2025). Un robusto anticiclone sul Beaufort (Beaufort High) ha dominato la circolazione atmosferica artica, associato a bassi geopotenziali sul Mare di Bering e il Golfo dell’Alaska. Questa configurazione ha favorito afflussi caldi tra la Groenlandia e Svalbard, mentre sulle aree settentrionali dell’Alaska si sono mantenute condizioni più fresche.

Configurazioni simili di blocco atmosferico e loro interazioni con l’Artico sono state ampiamente descritte in letteratura (Overland et al., 2012; Moore et al., 2018), dove si evidenzia come tali pattern contribuiscano significativamente alla variabilità interannuale dell’estensione glaciale.

3. Trend pluridecennale e trasformazione della criosfera artica​

L’analisi del trend per il mese di maggio mostra un declino dell’estensione del ghiaccio artico pari al 2,3% per decennio (NSIDC, 2025), corrispondente a una perdita media annuale di circa 30.600 km². Dal 1979, il sistema artico ha così perso approssimativamente 1,41 milioni di km² di ghiaccio marino durante il mese di maggio.

Una nuova conferma al cambiamento di regime intervenuto nel 2007 giunge dallo studio di Stern et al. (2025), il quale — in accordo con Babb et al. (2023) e Sumata et al. (2023) — ha applicato tecniche statistiche per suddividere la serie in due fasi distinte:

  • 1978-2006: declino costante (-0,55 × 10⁶ km² per decennio)
  • 2007-2024: fase apparentemente stabilizzata ma altamente variabile.
Questa transizione è attribuibile alla drastica perdita dei ghiacci pluriennali avvenuta tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000, associata a estati via via più calde e a un crescente export di ghiaccio attraverso il Fram Strait (Kwok et al., 2009; Stroeve & Notz, 2018).

Attualmente, il ghiaccio artico è largamente dominato da ghiaccio di primo anno, altamente vulnerabile al melt estivo (Perovich & Richter-Menge, 2009), rendendo il sistema artico più instabile di fronte a eventuali ulteriori forzanti termiche e dinamiche.

4. Transizione nella strumentazione di rilevamento satellitare​

Il NSIDC segnala difficoltà nella continuità dei dati satellitari derivanti dalla ridotta priorità operativa dei sensori passivi a microonde SSMI/S utilizzati fin dal 1979 (Cavalieri et al., 1999). A tal proposito, viene pianificata una transizione verso il radiometro AMSR2 giapponese, previa una delicata fase di intercalibrazione fra sensori per preservare l’omogeneità della serie temporale (Meier et al., 2021).

5. Situazione antartica: deficit di crescita stagionale​

Nell'emisfero australe, l’estensione del ghiaccio marino antartico ha raggiunto il quinto minimo storico per il mese di maggio (NSIDC, 2025). In particolare, due settori risultano fortemente deficitari: il Mare di Bellingshausen e l’area orientale della Dronning Maud Land.

Nel Bellingshausen, i valori di estensione restano quasi nulli fino a inizio giugno, a causa di anomalie termiche superficiali comprese tra +6°C e +8°C, associate a un’intensa fase del sistema depressionario dell’Amundsen Sea Low (Turner et al., 2013; Holland et al., 2023).

Le dinamiche antartiche appaiono sempre più variabili e complesse, anche in relazione alle recenti anomalie negative di estensione osservate sin dal 2016 (Parkinson, 2019; Turner et al., 2022).

6. Conclusioni​

L’evoluzione della criosfera polare conferma la persistenza di tendenze di lungo termine compatibili con l’intensificazione dei processi di riscaldamento climatico globale. Mentre l’Artico prosegue lungo una traiettoria di ristrutturazione profonda con prevalenza di ghiaccio annuale, l’Antartide mostra una crescente variabilità stagionale, indicativa di un sistema dinamicamente complesso e ancora solo parzialmente compreso nei suoi meccanismi di risposta.


Riferimenti bibliografici

  • Babb, D. G., et al. (2023). "Recent Arctic sea ice loss: structural transitions and multiyear ice retreat." The Cryosphere, 17, 101–122. DOI:10.5194/tc-17-101-2023
  • Cavalieri, D. J., et al. (1999). "Updated daily and monthly global sea ice concentration and extent from passive microwave data." National Snow and Ice Data Center
  • Holland, P. R., et al. (2023). "Record low Antarctic sea ice extent in 2023: causes and consequences." Nature Climate Change. DOI:10.1038/s41558-023-01725-z
  • Kwok, R., et al. (2009). "Thinning and volume loss of the Arctic Ocean sea ice cover: 2003–2008." Journal of Geophysical Research: Oceans, 114(C7).
  • Meier, W. N., et al. (2021). "Consistency and continuity of passive microwave sea ice concentration records for climate monitoring." Remote Sensing, 13(5), 878.
  • Moore, G. W. K., et al. (2018). "The impact of the Arctic Oscillation on Arctic sea ice variability." Geophysical Research Letters, 45(12), 6027–6034.
  • NSIDC (2025). Arctic Sea Ice News and Analysis – May 2025 report. National Snow and Ice Data Center, Boulder, CO.
  • Overland, J. E., et al. (2012). "The recent shift in early summer Arctic atmospheric circulation." Geophysical Research Letters, 39(19).
  • Parkinson, C. L. (2019). "A 40-y record reveals gradual Antarctic sea ice increases followed by decreases at rates far exceeding the rates seen in the Arctic." PNAS, 116(29), 14414–14423.
  • Perovich, D. K., & Richter-Menge, J. A. (2009). "Loss of sea ice in the Arctic." Annual Review of Marine Science, 1, 417–441.
  • Stern, H. L., et al. (2025). "Arctic sea ice regime shift: statistical evidence for a 2007 breakpoint." Journal of Climate, in press.
  • Stroeve, J., & Notz, D. (2018). "Changing state of Arctic sea ice across all seasons." Environmental Research Letters, 13(10), 103001.
  • Sumata, H., et al. (2023). "Arctic multiyear sea ice loss and its implications for the sea ice thickness distribution." The Cryosphere, 17, 2301–2318.
  • Turner, J., et al. (2013). "The Amundsen Sea Low." International Journal of Climatology, 33(7), 1818–1829.
  • Turner, J., et al. (2022). "Record low Antarctic sea ice extent in 2022." Nature Climate Change. DOI:10.1038/s41558-022-01514-1

 

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La transizione strumentale nel monitoraggio del ghiaccio marino: dal SSM/I-SSMI/S all’AMSR2​

Il monitoraggio operativo dell’estensione e della concentrazione del ghiaccio marino polare si basa, sin dal 1979, su sensori passivi a microonde in orbita polare. Questi strumenti, installati principalmente su satelliti militari statunitensi della serie DMSP (Defense Meteorological Satellite Program), hanno garantito per oltre quattro decenni una copertura continua delle regioni artiche e antartiche, anche in condizioni di oscurità polare o copertura nuvolosa, grazie alla capacità tipica delle microonde di penetrare le nubi e operare indipendentemente dalla radiazione solare.

Nel corso di questo lungo arco temporale, si sono succeduti tre principali sistemi sensoristici:

  • SMMR (Scanning Multichannel Microwave Radiometer) operativo tra il 1978 e il 1987;
  • SSM/I (Special Sensor Microwave/Imager) operativo dal 1987 al 2009;
  • SSMI/S (Special Sensor Microwave Imager/Sounder) operativo dal 2003 ad oggi.
Questi radiometri a microonde misurano l’energia emessa naturalmente dalla superficie terrestre e oceanica a diverse frequenze, tipicamente comprese tra i 19 GHz e gli 85 GHz. Il contrasto emissivo tra ghiaccio e acqua libera permette di stimare la concentrazione superficiale del ghiaccio marino. L’NSIDC (National Snow and Ice Data Center) ha sviluppato e ottimizzato i propri algoritmi climatologici e operativi su questa lunga serie strumentale, creando dataset di riferimento come il Sea Ice Index, ancora oggi utilizzati come standard climatologico globale.

Negli ultimi anni, però, questa costellazione sensoristica storica sta manifestando criticità sempre maggiori. Il progressivo invecchiamento delle piattaforme DMSP, la perdita accidentale di alcuni satelliti (come DMSP-F19) e, soprattutto, la ridotta priorità assegnata dal Dipartimento della Difesa USA alla trasmissione dei dati scientifici hanno generato un progressivo aumento delle lacune nei flussi di dati, minacciando la continuità stessa della serie climatologica.

In questo contesto di crescente incertezza operativa, l’NSIDC sta avviando un delicato processo di transizione verso un nuovo sistema sensoristico, rappresentato dal radiometro giapponese AMSR2 (Advanced Microwave Scanning Radiometer 2), attualmente in orbita sul satellite GCOM-W1 (Global Change Observation Mission - Water "Shizuku"), operativo dal 2012 e gestito dall’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA).

L’AMSR2 offre numerosi vantaggi rispetto ai sensori storici:

  • un ampio spettro di frequenze operative (da 6.9 GHz fino a 89 GHz), che consente una migliore caratterizzazione di ghiaccio sottile, ghiaccio giovane e acqua aperta;
  • una risoluzione spaziale nettamente superiore (fino a 10-15 km contro i 25 km degli SSM/I-SSMI/S), particolarmente utile per rilevare dettagli costieri, polynie e canali di leads;
  • un’elevata stabilità radiometrica e una continuità operativa che ha già superato il decennio.
Tuttavia, la transizione tra due sistemi sensoristici così diversi non è priva di problematiche. Ogni radiometro ha caratteristiche specifiche di footprint spaziale, angolo di osservazione e sensibilità emissiva che, se non adeguatamente calibrate, rischiano di introdurre discontinuità artificiali nella serie storica, compromettendo la confrontabilità dei dati a scala climatologica. Per preservare l’integrità scientifica della serie temporale iniziata nel 1979, il NSIDC sta dunque procedendo attraverso una complessa fase di calibrazione inter-sensore.

Questo processo prevede:

  • l’analisi comparata durante i periodi di sovrapposizione operativa dei sensori (cosiddetto overlap period);
  • la determinazione statistica dei bias sistematici tra i due sistemi;
  • l’applicazione di algoritmi di correzione per armonizzare le stime di concentrazione di ghiaccio;
  • la creazione di dataset fusi (blended) in grado di garantire continuità climatologica certificata.
Studi come quelli di Meier et al. (2021) hanno già dimostrato che, attraverso un approccio rigoroso di cross-calibrazione, è possibile integrare con successo le misure provenienti da diverse generazioni di radiometri a microonde, assicurando la prosecuzione delle serie climatiche polari per il monitoraggio dei cambiamenti in corso.

L’esito positivo di questa transizione garantirà:

  • la continuità della serie storica di riferimento per il monitoraggio del ghiaccio marino globale;
  • una maggiore precisione nei dati futuri, grazie alla superiore risoluzione spaziale dell’AMSR2;
  • una migliore capacità di monitoraggio operativo e previsionale a breve termine, fondamentale per la ricerca scientifica e per le applicazioni operative in ambito polare.
Tuttavia, è fondamentale che nelle future valutazioni climatologiche venga sempre mantenuta la consapevolezza scientifica dell’avvenuto passaggio strumentale, documentando esplicitamente i cambiamenti di sensoristica utilizzata e le relative incertezze residue.

La transizione in corso rappresenta dunque una sfida metodologica ma anche un’opportunità tecnologica: un delicato equilibrio tra il rigore della continuità statistica e l’adozione di strumentazioni più evolute, che consentiranno una visione ancora più dettagliata e accurata delle dinamiche in rapido mutamento della criosfera globale.
 

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L’evoluzione strumentale nel monitoraggio satellitare del ghiaccio marino: dal SMMR all'AMSR2​

Il monitoraggio satellitare del ghiaccio marino rappresenta una delle serie osservazionali più lunghe e consistenti nel campo delle scienze climatiche. Grazie ai radiometri passivi a microonde in orbita polare, è stato possibile osservare, dal 1978 ad oggi, l’evoluzione stagionale e pluridecennale dei ghiacci marini artici e antartici, indipendentemente dalle condizioni di luce e copertura nuvolosa, particolarmente critiche alle alte latitudini.

I radiometri passivi a microonde rilevano la radiazione naturale emessa dalle superfici terrestri e oceaniche alle lunghezze d’onda delle microonde. A queste frequenze, ghiaccio marino e acqua libera presentano proprietà emissive nettamente diverse: il ghiaccio ha una maggiore emissività (generalmente tra 0.92 e 0.98), mentre l’acqua liquida ha emissività inferiori (tipicamente 0.5–0.6 a 19 GHz). Questo contrasto fisico consente, attraverso algoritmi multispettrali, di derivare la concentrazione di ghiaccio marino su scala globale.

Il primo radiometro operativo: SMMR (1978–1987)​

Il primo sistema strumentale di osservazione sistematica del ghiaccio marino fu il SMMR (Scanning Multichannel Microwave Radiometer), installato sul satellite NASA Nimbus-7 e operativo dal 1978 al 1987. Il SMMR operava su 5 frequenze (6.6, 10.7, 18, 21, e 37 GHz), rilevando le emissioni sia in polarizzazione orizzontale che verticale. La sua risoluzione spaziale variava da circa 27 km (a 37 GHz) fino a 148 km (a 6.6 GHz), con un angolo di osservazione fisso di 50°.

Il SMMR rappresentò la base per lo sviluppo dei primi algoritmi operativi di stima della concentrazione del ghiaccio, come il NASA Team Algorithm, che è rimasto un riferimento per diversi decenni. Tuttavia, la sua risoluzione limitata e l’assenza di copertura globale giornaliera continua rappresentavano alcuni limiti per un uso pienamente climatologico.

L’evoluzione tecnologica: SSM/I (1987–2009)​

Nel 1987, con l’avvio della costellazione militare DMSP (Defense Meteorological Satellite Program), venne introdotto il radiometro SSM/I (Special Sensor Microwave/Imager), operativo fino al 2009. Questo sensore costituì un salto tecnologico notevole:

  • Frequenze operative: 19.35, 22.235, 37.0, e 85.5 GHz;
  • Doppia polarizzazione (tranne a 22 GHz);
  • Risoluzione spaziale migliorata fino a ~12.5 km sulle frequenze più alte;
  • Angolo di osservazione standardizzato a 53.1°, ottimale per un’orbita polare sincrona col sole.
Lo SSM/I ha permesso per la prima volta una copertura quasi continua e globale due volte al giorno, con un’alta stabilità radiometrica, rappresentando la base principale dei dataset NSIDC (come il Sea Ice Index) per oltre vent’anni. Le sue caratteristiche hanno reso possibile una rigorosa costruzione di serie climatologiche affidabili per lo studio dei trend di lungo termine nella criosfera marina.

L'estensione funzionale: SSMI/S (2003–oggi)​

Nel 2003 è stato introdotto il radiometro di terza generazione SSMI/S (Special Sensor Microwave Imager/Sounder), sempre a bordo dei satelliti DMSP (F16, F17, F18). Rispetto al predecessore, l’SSMI/S ha mantenuto continuità strumentale per il monitoraggio del ghiaccio marino, ma ha integrato capacità aggiuntive per il sounding atmosferico:

  • Frequenze: 19.35, 22.235, 37.0, 91.655 GHz (imager); bande aggiuntive a 50–60 GHz e 183 GHz per il sounding atmosferico;
  • Miglioramenti di risoluzione modesti ma maggiore versatilità nei dati atmosferici;
  • Stabilità nella stima della concentrazione del ghiaccio grazie all’eredità algoritmica diretta dallo SSM/I.
Questa piattaforma ha garantito la prosecuzione del monitoraggio globale ma, negli ultimi anni, ha cominciato a manifestare criticità operative legate al progressivo invecchiamento dei satelliti e al ridotto accesso ai dati da parte del Dipartimento della Difesa USA, che ne gestisce i flussi prioritari. Il rischio di discontinuità nella serie climatologica si è quindi progressivamente accentuato.

La transizione in atto: AMSR2 (dal 2012)​

Per garantire la continuità osservativa della criosfera marina, l’NSIDC sta progressivamente transitando verso il radiometro giapponese AMSR2 (Advanced Microwave Scanning Radiometer 2), operativo dal 2012 a bordo del satellite JAXA GCOM-W1 "Shizuku".

L’AMSR2 introduce innovazioni sostanziali:

  • Ampia gamma di frequenze operative: da 6.9 GHz a 89 GHz;
  • Migliore discriminazione tra ghiaccio sottile, acqua libera e superficie innevata;
  • Risoluzione spaziale superiore (fino a 10 km sulle bande alte);
  • Elevata stabilità radiometrica certificata;
  • Continuità garantita dalla gestione civile giapponese, indipendente dalle logiche militari.
Grazie a queste caratteristiche, AMSR2 permette osservazioni più accurate dei margini del ghiaccio marino, delle polynie e dei canali di leads, aree particolarmente dinamiche e critiche nel bilancio energetico polare.

La sfida della calibrazione inter-sensore​

Il passaggio da un sensore all’altro non è però immediato: ogni radiometro possiede caratteristiche specifiche di footprint spaziale, frequenza, sensibilità emissiva e angolo di osservazione. Per evitare discontinuità artificiali nella serie storica, il NSIDC sta implementando una rigorosa fase di calibrazione inter-sensore, basata su:

  • Analisi statistica dei periodi di sovrapposizione (overlap period);
  • Determinazione sistematica dei bias tra le piattaforme;
  • Applicazione di algoritmi di correzione e fusione dei dati (blending).
L’obiettivo finale è garantire che la serie climatologica, iniziata nel 1978, rimanga scientificamente consistente e omogenea anche nel nuovo scenario osservativo. Studi recenti (Meier et al., 2021) confermano la possibilità di ottenere dataset climatologici robusti tramite questa strategia di calibrazione incrociata.

Conclusioni​

L’evoluzione tecnologica dei radiometri passivi a microonde ha permesso alla comunità scientifica di disporre oggi di una delle serie osservazionali più solide e longeve per il monitoraggio del cambiamento climatico polare. La transizione verso il sistema AMSR2 non solo preserva questa continuità, ma introduce anche potenzialità superiori per il monitoraggio operativo ad alta risoluzione, in grado di descrivere con maggiore dettaglio i rapidi cambiamenti in atto nella criosfera.

Tuttavia, la piena consapevolezza scientifica della transizione strumentale deve essere mantenuta in tutte le analisi climatologiche future, documentando chiaramente le caratteristiche delle diverse piattaforme osservazionali che hanno contribuito alla costruzione di questa fondamentale serie temporale globale.


 

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Accelerazione precoce della fusione superficiale in Groenlandia nel giugno 2025: segnali albedo-negativi, ampia estensione e implicazioni climatiche

1. Introduzione

La stagione di fusione superficiale della calotta glaciale della Groenlandia nel 2025 si sta distinguendo per un'avanzata precoce e intensiva del fenomeno, accompagnata da un'estensione geografica e una risposta radiativa superficiale (albedo) particolarmente marcate. I dati satellitari del Polar Portal, aggiornati al 20–22 giugno 2025, mostrano come la fusione attuale si collochi tra i tre eventi più estesi per questo periodo dell’anno, nella serie storica a partire dal 2002. In parallelo, anomalie di albedo diffuse sull'intera superficie della calotta segnalano condizioni favorevoli alla retroazione positiva del bilancio radiativo, rendendo il contesto attuale particolarmente significativo per lo studio dei meccanismi di instabilità della criosfera.


2. Estensione della fusione e confronto storico

Secondo l’algoritmo AMSR elaborato da G. Picard et al. (2022), il melt extent osservato il 20 giugno 2025 ha raggiunto circa 0,6 milioni di km², un valore comparabile a quelli registrati solo negli anni eccezionali 2012 e 2019, e superiore a tutti gli altri anni della serie. Questa dinamica è visibile nella curva rossa del grafico temporale, in cui l’evoluzione del 2025 mostra una netta accelerazione della fusione rispetto al ritmo stagionale medio.

Il superamento del 40% della superficie soggetta a fusione già nella seconda decade di giugno rappresenta un segnale di precoce instabilità stagionale, compatibile con pattern meteorologici ad alta persistenza anticiclonica. Tali condizioni sono note per amplificare l’irraggiamento solare netto e il riscaldamento dell’atmosfera vicino-superficiale, con effetti cumulativi sulla criosfera groenlandese (Hanna et al., 2014; Tedesco et al., 2013).


3. Distribuzione spaziale del fenomeno di fusione

La mappa della fusione valida per il 20 giugno 2025 evidenzia una distribuzione marcatamente costiera della fusione superficiale, con persistenza del fenomeno per almeno tre giorni consecutivi lungo:

  • i margini sud-occidentali, storicamente tra le aree più vulnerabili per via della vicinanza alle acque dell’Atlantico settentrionale;
  • la regione sud-orientale, influenzata da dinamiche di foehn e ventilazione da sud-est;
  • la fascia settentrionale costiera, dove la precocità dell’attivazione fusiva appare anomala rispetto alle medie pluriennali.
Questa estensione è coerente con un pattern barico sinottico dominato da una cellula anticiclonica persistente sulla Groenlandia meridionale, già osservata in altri episodi di fusione estrema (Overland et al., 2012).


4. Anomalie di albedo: feedback radiativi e amplificazione della fusione

Particolarmente significativa è l’anomalia di albedo misurata il 22 giugno 2025, che mostra valori fino a –0.20 unitàrispetto alla media 2017–2024. Le anomalie negative si concentrano nei settori sud-occidentali, centro-orientali e nella fascia sud-est della calotta, e sono probabilmente imputabili a una combinazione di:

  • scioglimento precoce del firn e comparsa di ghiaccio nudo (bare ice);
  • depositi superficiali di polvere e black carbon;
  • rimozione dello strato nevoso fresco.
Un abbassamento dell’albedo riduce la frazione di radiazione solare riflessa verso l’atmosfera, incrementando l’assorbimento netto di energia e accelerando il processo di fusione superficiale (Box et al., 2012; Ryan et al., 2019). Questo meccanismo retroattivo rappresenta uno dei principali motori dell’instabilità superficiale estiva della calotta groenlandese.


5. Possibili forzanti atmosferiche e oceaniche

L’attuale configurazione atmosferica suggerisce il ruolo attivo di teleconnessioni extratropicali e subtropicali nella modulazione del clima groenlandese. In particolare, si ipotizza:

  • una fase positiva dell’Oscillazione Nord-Atlantica (NAO) a latitudini elevate, che promuove condizioni stabili e soleggiate sulla calotta;
  • un’eventuale influenza della Scandinavian Pattern (SCA), associata a blocchi anticiclonici sull’Atlantico settentrionale;
  • la presenza di acque oceaniche eccezionalmente calde nei settori adiacenti al margine occidentale, in grado di intensificare i flussi di calore verso le coste groenlandesi;
  • una debolezza nella convezione tropicale del Pacifico, che potrebbe ridurre il contributo al trasporto di umidità e favorire configurazioni stazionarie nella circolazione emisferica (Cassou, 2008; Ding et al., 2014).

6. Implicazioni idrologiche e climatiche

Se il trend di fusione dovesse proseguire nella stessa direzione anche nel mese di luglio – statisticamente il periodo di massimo scioglimento – la stagione 2025 potrebbe avvicinarsi o persino superare eventi storici come quello del 2012, in cui si verificò una fusione quasi totale della superficie glaciale (Nghiem et al., 2012). Le implicazioni includono:

  • un incremento del runoff superficiale, ovvero del flusso di acqua di fusione verso il fondo della calotta, con conseguente lubrificazione della base e potenziale accelerazione del flusso glaciale;
  • una contribuzione accelerata all’innalzamento del livello marino globale, già in atto a ritmi crescenti nella zona del settore sud-ovest (Enderlin et al., 2014);
  • effetti sulla circolazione termoalina dell’Atlantico Nord, dato che l’acqua dolce proveniente dallo scioglimento può influire sulla densità superficiale e sulla formazione delle acque profonde (Rahmstorf et al., 2015).

7. Conclusione

L’osservazione di un’intensa e precoce fusione superficiale della Groenlandia nel giugno 2025, combinata con una significativa anomalia negativa di albedo, rappresenta un importante indicatore del crescente squilibrio energetico del sistema criosferico artico. La combinazione di condizioni atmosferiche favorevoli alla fusione, feedback radiativi attivi e forzanti oceaniche calde accentua il rischio di eventi di fusione estrema nei mesi successivi, rendendo la stagione 2025 un potenziale caso studio per la comprensione delle soglie critiche del sistema polare.


Riferimenti bibliografici


 

Allegati

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Groenlandia nel 2025: accelerazione della perdita di massa glaciale e segnale precoce di instabilità idro-climatica stagionale

L’ultima analisi aggiornata del bilancio di massa giornaliero cumulato della calotta glaciale della Groenlandia, pubblicata dal Geological Survey of Denmark and Greenland (GEUS), indica che il 2025 si sta rapidamente avviando a diventare uno degli anni con la maggiore perdita di massa glaciale mai registrata nell’epoca satellitare moderna. I dati aggiornati al 23 giugno 2025 mostrano un’anomalia negativa già superiore a 150 Gt (gigatonnellate), che proietta la traiettoria stagionale ben al di sotto della media climatica 1991–2020 e vicina ai valori estremi del 2012 e 2019.

Un confronto storico preoccupante​

Nel grafico elaborato da GEUS (vedi immagine), la curva nera che rappresenta il 2025 ha assunto una pendenza estremamente negativa a partire da fine maggio, in netto contrasto con l’andamento medio (grigio scuro) e in linea con gli anni più critici, come il 2012 (rosso) e il 2019 (arancione). In questi anni, il bilancio finale superò i -400 Gt annui, contribuendo in modo significativo all’innalzamento del livello del mare globale. Anche nel 2025, la proiezione anticipa una perdita potenziale superiore a 1 mm del livello marino globale se le condizioni attuali dovessero persistere, in linea con gli scenari delineati da Enderlin et al., 2014.

Cause atmosferiche e forzanti oceaniche​

Questa accelerazione nella perdita di massa è attribuibile a una combinazione di fattori meteorologici e climatici sinergici:

  • Blocco anticiclonico persistente sopra la Groenlandia meridionale, che ha garantito cieli sereni, albedo basso e alta radiazione netta al suolo.
  • Una fase positiva dell’Oscillazione Nord-Atlantica (NAO), associata a subsidenza e temperature elevate nei bassi strati atmosferici.
  • Temperature della superficie marina (SST) superiori alla media lungo le coste sud-occidentali della Groenlandia, che favoriscono lo scioglimento per irraggiamento e conduzione.
Queste condizioni riflettono pattern sinottici già osservati durante eventi di fusione estrema in anni passati, come illustrato da Hanna et al., 2014, che analizzano l’estate record del 2012.

Feedback radiativi: ruolo dell’albedo​

I recenti dati sull’anomalia di albedo (fonte: PolarPortal/SICE) mostrano estesi segnali negativi fino a -0.20 unità sulla superficie della calotta, confermando che ampie porzioni del manto nevoso sono già passate alla fase di ghiaccio nudo (bare ice). Questo abbassamento dell’albedo comporta un maggior assorbimento della radiazione solare incidente, innescando un potente feedback positivo sulla fusione, ben documentato da Box et al., 2012 e Ryan et al., 2019.

Impatti glaciologici e oceanografici​

L’impatto sistemico di questa dinamica non si limita al solo bilancio di massa, ma si estende a vari livelli:

  • Runoff superficiale aumentato, con deflusso idrico che penetra fino alla base della calotta, lubrificando il letto glaciale e accelerando il flusso verso l’oceano (Tedstone et al., 2015).
  • Alterazione della circolazione termoalina nell’Atlantico Nord, a causa dell’immissione di acqua dolce e fredda che può ridurre la convezione profonda, con implicazioni sulla Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC), come descritto in Rahmstorf et al., 2015.
  • Innalzamento globale del livello del mare, per il quale la sola Groenlandia ha contribuito in media con 0.76 mm/anno nel periodo 2011–2020, secondo IPCC AR6 (2021).

Una stagione potenzialmente storica​

La traiettoria osservata nel 2025 mostra caratteristiche allarmanti: anticipazione stagionale, rapidità di fusione, ampia estensione geografica della perdita, e condizioni atmosferiche persistenti. Se tali tendenze dovessero proseguire nei mesi estivi, il 2025 potrebbe registrare un bilancio finale inferiore ai -400 Gt, candidandosi tra gli anni più critici della serie storica.

Questo evidenzia ancora una volta la vulnerabilità della calotta glaciale groenlandese ai forcing atmosferici di breve termine, ma anche la sua crescente esposizione a meccanismi di instabilità auto-rinforzante su scala stagionale.


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Declino persistente del volume del ghiaccio marino artico: aggiornamento PIOMAS – Giugno 2025

1. Introduzione

Il volume del ghiaccio marino artico rappresenta uno degli indicatori più sensibili della risposta del sistema climatico globale al riscaldamento antropogenico. A differenza dell’estensione superficiale, il volume integra sia l’area che lo spessore del ghiaccio, offrendo un parametro più robusto per valutare la salute della criosfera artica (Zhang & Rothrock, 2003). Il sistema PIOMAS (Pan-Arctic Ice-Ocean Modeling and Assimilation System) fornisce una ricostruzione continua e assimilata del volume e dello spessore del ghiaccio marino a partire dal 1979, offrendo uno strumento fondamentale per l’analisi delle tendenze a lungo termine e degli estremi stagionali.

2. Tendenze storiche e variabilità interannuale

L’analisi delle anomalie del volume del ghiaccio rispetto alla climatologia 1979–2023 (Figura 1) evidenzia una tendenza negativa statisticamente significativa, pari a –2.8 ± 1.0 × 10³ km³/decennio. Tale declino riflette un assottigliamento strutturale della calotta glaciale artica, che si è intensificato a partire dagli anni 2000, in concomitanza con una maggiore amplificazione artica e un indebolimento del ghiaccio pluriennale.

I dati mensili aggregati per aprile e settembre (Figura 3) confermano questa tendenza: il volume massimo invernale (aprile) decresce a un ritmo di –2.5 × 10³ km³/decennio, mentre il minimo estivo (settembre) subisce una perdita ancora più accentuata, pari a –3.1 × 10³ km³/decennio, suggerendo una vulnerabilità crescente alla fusione estiva e alla perdita irreversibile del ghiaccio multiennale.

3. Stato attuale: condizioni a giugno 2025

Secondo l’aggiornamento PIOMAS per giugno 2025, il volume medio di ghiaccio marino artico è stato stimato in 15.73 × 10³ km³, valore che rappresenta il secondo più basso mai registrato per il mese di giugno, appena superiore al minimo storico del 2017 (15.40 × 10³ km³). Rispetto al valore massimo registrato nel 1979, il volume di giugno 2025 risulta inferiore del 48%, mentre il deficit rispetto alla media 1979–2024 è del 30%. Inoltre, il volume di giugno si colloca 0.5 deviazioni standard sopra la tendenza storica, indicando una lieve resilienza temporanea, seppur all’interno di un regime di declino strutturale.

La Figura 2 confronta i volumi giornalieri del 2025 con altri anni critici (es. 2012, 2017, 2020), confermando che l’attuale stagione di fusione si colloca tra le più estreme del record satellitare, con valori costantemente sotto la media climatologica.

4. Anomalie giornaliere e dispersione interannuale

L’analisi delle anomalie giornaliere (Figura 4) mostra come il 2025 abbia seguito un percorso simile agli anni con severe perdite estive (es. 2019, 2020), con anomalie negative accentuate tra aprile e giugno. Tale comportamento riflette una bassa crescita primaverile e una precoce vulnerabilità al melt stagionale.

5. Spessore del ghiaccio: media e anomalie spaziali

Lo spessore medio giornaliero (Figura 5) mostra che il 2025 si colloca nella fascia bassa del dataset PIOMAS, con valori primaverili inferiori rispetto alla media pluridecennale. Risulta particolarmente critico il confronto con gli anni 1980–1990, durante i quali lo spessore raggiungeva valori medi superiori a 2.5 m nei mesi invernali, rispetto agli attuali ~1.5 m.

Le anomalie spaziali di spessore derivate sia da PIOMAS (Figura 6) che da CryoSat (Figura 7) confermano la complessità del bilancio locale di massa:

  • Anomalie positive (> +0.4 m) sono state registrate nel Mare di Beaufort e nello Stretto di Bering, indicando una relativa persistenza del ghiaccio pluriennale in quelle zone.
  • Anomalie negative (< –0.6 m) sono evidenti in aree tradizionalmente più stabili, come il nord della Groenlandia, la Baia di Baffin e il Mare di Laptev, quest’ultimo cruciale per il precondizionamento dell’estensione minima settembrina.

6. Implicazioni e prospettive

L’attuale configurazione del ghiaccio artico suggerisce una struttura particolarmente vulnerabile alla fusione estiva, sia per la ridotta estensione che per lo spessore debole. L’estate 2025 potrebbe dunque rientrare tra quelle con estensione minima estrema, soprattutto se sostenuta da pattern atmosferici favorevoli alla dipolazione artica (es. dipolo artico positivo), venti transpolari e intrusione di calore dall’Atlantico.

Queste condizioni pongono interrogativi importanti sul futuro del ghiaccio estivo artico, con alcuni modelli che proiettano un Oceano Artico quasi privo di ghiaccio estivo già entro il 2030 (Notz & Stroeve, 2018). Inoltre, la perdita di ghiaccio riduce la riflettività (albedo) della superficie, contribuendo ad un feedback positivo sul riscaldamento artico (Arctic Amplification), con possibili impatti a scala emisferica sulla stazionarietà del getto polare, l’occurrence di blocchi atmosferici e la sincronizzazione degli estremi climatici a media latitudine (Francis & Vavrus, 2012; Coumou et al., 2015).


7. Conclusioni

L’analisi aggiornata del volume e dello spessore del ghiaccio artico per giugno 2025 indica una condizione di severa anomalia negativa, in continuità con il trend di lungo periodo. La combinazione di bassa estensione, scarso spessore e anomalie termodinamiche regionali pone il 2025 come un anno a rischio per il raggiungimento di un nuovo minimo storico estivo. Il monitoraggio continuo, attraverso PIOMAS e CryoSat, resta essenziale per comprendere le dinamiche della criosfera e le loro connessioni con il sistema climatico globale.


Riferimenti bibliografici

  • Zhang, J., & Rothrock, D. A. (2003). Modeling Global Sea Ice with a Thickness and Enthalpy Distribution Model in Generalized Curvilinear Coordinates. Monthly Weather Review, 131(5), 845–861.
  • Notz, D., & Stroeve, J. (2018). The trajectory towards a seasonally ice-free Arctic Ocean. Current Climate Change Reports, 4, 407–416.
  • Francis, J. A., & Vavrus, S. J. (2012). Evidence linking Arctic amplification to extreme weather in mid-latitudes. Geophysical Research Letters, 39, L06801.
  • Coumou, D., Petoukhov, V., Rahmstorf, S., Petri, S., & Schellnhuber, H. J. (2015). Quasi-resonant circulation regimes and hemispheric synchronization of extreme weather in boreal summer. PNAS, 112(43), 13490–13495.

 

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